Il Parma di Pecchia e la sindrome delle neopromosse
Sebbene indolore, la sconfitta casalinga contro il Catanzaro ha fatto tornare la “sindrome delle neopromosse, una condizione in remissione nel Parma di Pecchia ma non ancora del tutto debellata.
La fase acuta, senza dubbio, risale alla scorsa stagione, quando il Parma di Vazquez & Buffon aveva lasciato un’enormità di punti per strada contro le squadre che arrivavano dalla Serie C: nelle 8 partite complessive contro Bari, Modena, Palermo e Südtirol, i gialloblù vinsero una volta sola (al ritorno contro i siciliani), venendo sconfitti addirittura in 4 occasioni (una volta ciascuno dalle squadre citate), e pareggiando le altre 3.
Nuova stagione. L’esordio vittorioso contro la Feralpisalò e il perentorio 0-5 di Catanzaro, prima dello 0-0  interno contro la Reggiana, danno l’impressione che il Parma abbia trovato la medicina giusta, ma il 12 novembre (alla 13ª giornata) il Parma, ora di Man&Bernabè, inciampa - dopo il ko di Venezia - per la seconda volta in campionato, contro una neopromossa, il Lecco, allora allenato dal tandem Bonazzoli-Malgrati. E, a conferma della permanenza di qualche germe ancora, l’ultimo scivolone, quello di Pasquetta, contro i calabresi capaci di espugnare un Tardini inviolato da quasi 400 giorni.
Le due partite contro il Catanzaro offrono uno spunto di riflessione, che dalle parole del loro bravo allenatore. Nella conferenza post-partita un Vivarini serafico e a tutto tondo ammette di essere sceso a patti col solito modo di gioco dei suoi, avendo tratto insegnamenti dall0 0-5 dell‘andata che aveva segnato la vittoria più ampia del Parma in stagione. Rinunciato al consueto dominio col palleggio nella metà campo avversaria, stavolta il Catanzaro ha preferito adattarsi alle caratteristiche della capolista per impedire ai suoi “motori” di accendersi e arrivare sino ai giri più alti. Vivarini ha accettato di difendersi più basso per togliere profondità e spazi per correre a Man e soci: disposizione diversa - anche se 9/11 dei titolari provengono dalla squadra che ha vinto la C lo scorso campionato (Antonini e Petriccione le eccezioni) –, ma a interessare è lo spiegone tattico sulle scelte del Parma di Pecchia nelle due fasi, a partire dalla concessione della libertà in fase di possesso ai primi costruttori crociati, secondo Vivarini molto più a loro agio se pressati alti e favoriti nel trovare imbucate rapide e dirette verso gli attaccanti. D’altro canto, quando era il Catanzaro in possesso, ricercava volutamente la pressione alta, finanche altissima, del Parma: l’insistita costruzione «bassa bassa» che ha coinvolto spesso il portiere Fulignati (81 tocchi, nessuno come lui tra i giallorossi) s‘è verificata essere un‘astuta trappola per attirare l’uscita degli avanti gialloblù, di norma invece non così feroci nella pressione. L‘intento era quello di “sfaldare le linee e far perdere quell’equilibrio ben inculcato da Pecchia ai suoi: una tattica non molto dissimile rispetto a quella adottata dal Modena nella vittoria (3-0) in gara 2.
Ha funzionato? In parte. I gol sono arrivati da situazioni diverse: cross dal lato debole per l’inserimento dell’attaccante alle spalle del difensore sul secondo palo, il primo, e calcio piazzato, il secondo. Due dei “peccati originali” della difesa parmigiana in questa stagione.
E poi c‘è il dato delle 27 conclusioni del Parma, tutt’altro che domo, dunque. Vero però che, nonostante questo record” di conclusioni senza trovare la via della rete, Fulignati ha dovuto compiere solamente 4 parate e 1 respinta. Gli altri 12 tiri sono stati spediti fuori e addirittura 10 respinti prima che arrivassero in porta, a riprova della notevole densità in area fatta dagli ospiti, così come della difficoltà per gli attaccanti del Parma di trovare soluzioni per conclusioni pulite. Forse per via anche di un momento di fisiologico appannamento in alcuni uomini chiave (Bernabé?).